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Dio,
è come quella mamma
il cui figlio di cinque anni, un bel giorno, annunciò di essere cresciuto abbastanza da non avere più bisogno che lei l’accompagnasse all’asillo, e così, a partire dal giorno successivo, ci sarebbe andato tutto da solo.
E lei disse – Va bene -, con metà del suo cuore che pompava sangue con orgoglio materno per il futuro radioso che lui avrebbe certamente conquistato, un giorno, e l’altra metà che sanguinava perché la ragione della sua vita sembrava respingerla, come ceneri dimenticate.
Così, il giorno dopo, gli porse i suoi libri ed il suo pasto, gli disse – ti auguro una buona giornata -, trattenendosi dal baciarlo sulla fronte come ogni altri giorno precedente, e semplicemente chiudendo la porta alle sue spalle, mentre lui si voltava a guardarla, un po’ incredulo e sentendosi perduto per quella situazione tutta nuova.
Ma sentiva che doveva dimostrare il proprio intento, che non poteva ritirarsi e fare una pessima figura, così si incamminò verso l’asilo.
Come puoi indovinare, la sua mamma sgattaiolò presto fuori dalla porta, e riuscì a seguirlo ad una certa distanza, come un elettrone il proprio nucleo, a volte restando dietro di lui, a volte precedendolo, per assicurarsi che ogni cosa sul suo cammino fosse sicura per lui.
E lei gemeva e rabbrividiva di dolore, ogni volta che lui guardava intorno a sè, o giù le sue scarpe, incerto su cosa fare, e come farlo, e dove andare, ogni volta che egli sembrava allungare la mano, cercando quella di lei senza trovarla… ed infinite volte lei voleva raggiungerlo, ed abbracciarlo, sperando di trovare il suo sorriso di sollievo nel vederla al suo fianco… ma non lo fece mai, perché non voleva che lui si sentisse sconfitto nel suo coraggioso proposito.
E si morse il labbro inferiore fin quasi al punto di farlo sanguinare, un paio di volte, e versò lacrime copiose che avrebbero potuto render fertile un deserto, quando lui inciampò e cadde sul bordo polveroso della strada.
E lei ringraziò Dio per come una donna gentile, passando, domandò al suo bambino se stesse bene, e si offrì di aiutarlo a rialzarsi.
E lei sentì il suo cuore fermarsi, come se si fosse trovato sul bordo scivoloso di un divorante buco nero, quando egli affermò, – no, grazie, posso farlo da solo… solo mamma può aiutarmi. –
Ed il cuore di lei fu tagliato in due da una lama, ancora, quando la donna gli domandò dove fosse la sua mamma e lui rispose che – Non ho bisogno di lei, per andare a scuola. Sono grande abbastanza, – con quel tono di voce scuro che suonava fin troppo come quello di un adulto pieno di orgoglio.
La seconda volta in cui inciampò, lei chiese ad una donna che si avvicinava di andare ad aiutarlo, implorandola di non dirgli che era una sua richiesta.
Alla fine, lui raggiunse l’asilo, un po’ spettinato, molto provato, ma al sicuro.
E lei pianse ancora, perché, non importava quanto sembrasse irrealistico ed irrazionale, sembrava davvero che lui non avesse più bisogno di lei.
E, allo stesso tempo, lei sorrise e ridacchio, così orgogliosa di lui, per quanto era stato coraggioso!
Ma lui aveva parlato di andarci, tutto da solo.
Non a proposito del tornare.
Ed al momento di rincasare, una fitta oscurità avrebbe già velato il mondo.
Ecco perché, sperando di non ferirlo… sperando di non essere ferita, nel retro della sua mente… lei si arrischiò a raggiungere l’asilo, quando lui avrebbe dovuto uscirne.
Camminando verso casa, lei gli domandò come fosse andata.
– Tutto bene, – disse lui.
– Ma mi sei mancata, – aggiunse.
Dio è come quella mamma.
E noi siamo come quel bambino, io penso.
(c) Daniele Bergamini
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